Ieri, eravamo presenti e possiamo testimoniarlo, un tentativo di aggressione verbale al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore non si è trasformato in aggressione fisica solo per la grande capacità degli operatori del triage.
Le lavoratrici e i lavoratori del Ps e del 118 sono chiamati a svolgere il loro lavoro di cura in un clima di continuo stress e intimidazione – denunciano Marco Pasquini segretario generale della Fp Cgil di Bologna e Gaetano Alessi responsabile comparto sanità di Bologna.
Al Maggiore ed al Sant’Orsola la mancanza di posti letto nei reparti di medicina e lungodegenza in alcuni casi la loro parziale chiusura, determina la permanenza dei pazienti per lunghe ore (in alcuni casi siamo oltre le 24 ore) su barelle che ormai sono ovunque, generando un forte senso di frustrazione nei pazienti stessi e nei parenti che li accompagnano. Una situazione e un sistema che non può funzionare e che scarica su Infermieri, Oss e Medici la responsabilità di scelte che non dipendono da loro e che alimenta il senso di abbandono che quotidianamente vivono gli operatori sanitari.
La notte è peggio. La scelta delle direzioni sanitarie di chiudere i CAU al Maggiore e al Sant’Orsola nelle ore notturne non ha aiutato scaricando tutto sui Pronto Soccorso dei due ospedali cittadini.
Arrivano segnalazioni anche da Porretta e dal resto del territorio dove il collasso della medicina territoriale si scarica sui Pronto Soccorso.
Parte del problema risiede sicuramente nell’appropriatezza degli accessi, ma molta parte e determinata dalla mancanza di personale e di risorse che si traduce nella riduzione dei posti letto e nella chiusura di reparti.
Come Fp Cgil abbiamo manifestato vicinanza, anche fisica, agli operatori, alle operatrici ed ai cittadini, ma tocca alle istituzioni tutte “darsi una mossa”. Servono soluzioni immediate. Questa situazione non è dignitosa né per chi cura, né per chi deve essere curato.
Senza un piano straordinario di assunzioni ed un programma di valorizzazione economica delle competenze che renda appetibili le professioni sanitarie, senza investimenti sul sistema sanitario pubblico, siamo destinati come cittadini a non avere più la garanzia ad essere curati e a dovercela comprare se ne abbiamo le condizioni. Così non si può continuare – concludono Pasquini ed Alessi.